Un caffè con... Giovanni Ragonesi - INTERVISTA

by - venerdì, novembre 23, 2018


Oggi siamo qua con Giovanni Ragonesi, autore di La primavera da lontano, romanzo recensito tempo indietro, qua su blog.


Ciao Giovanni, come stai?

Non troppo male, grazie. (Adoro certi formalismi british, questo in particolare che ti consente di non illuderti con gioie sociali posticce e neppure di lagnarti oltre il tollerabile… è uno strumento molto prezioso per chi come me ragiona non tramite sillogismi ma tramite libere associazioni di lamentele: è un po’ come dire che c’è di peggio e tutto sommato ci sta andando bene).


Se chiedessi tre aggettivi per descrivere il libro, quali useresti?

Vivo buona parte delle mie giornate alla ricerca di tre aggettivi flaubertiani con cui catalogare le cose che incontro, ma non riesco sempre a trovare quelli giusti. Per il mio romanzo penserei (ma fino ad adesso, a distanza di un anno, non ho ancora trovare una triade di aggettivi soddisfacenti nel tempo): disturbante (è un aspetto sul quale ho voluto molto calcare la mano), romantico (a conti fatti posso dire che è un messaggio d’amore abbandonato in una capsula spaziale), lynchiano (a ciascuno le sue ossessioni).


Dovendo riassumere nello spazio di un tweet (280 caratteri) il motivo per cui una persona dovrebbe leggere il tuo romanzo, cosa diresti?

Premesso - ahimè - che registro una forte inettitudine nell’utilizzo dei social (Twitter in special modo), che non riuscirei a vendere neppure l’acqua nel deserto (invidio e ammiro gli 8752 eredi di Proust e Wallace che in ogni momento promuovono i loro capolavori sui social). Sforzandomi direi (ma so che mi pentirò subito dopo averlo detto) che è un romanzo senza risposte, che prova a dar voce, una voce sommessa, al nostro bisogno di consolazione (giusto per rifarmi al bellissimo libro di Stig Dagerman), quella consolazione di cui abbiamo tutti bisogno dopo essere stati lasciati soli sull’intero pianeta, dopo un’evacuazione di massa. (Non ho contato i caratteri: chiedo perdono).


Quale parte è stata la "più difficile" da scrivere?

Ci sono molte pagine che attingono non alla mia biografia ma al mio vissuto, sono state quelle le più “difficili”, nel senso che è stato doloroso rivivere certe situazioni, volere e dovere immergersi completamente, fino al punto di non respirare più, negli abbandoni definitivi. Però devo dire che è stato catartico, quasi in senso classico.


Cosa o chi ti ha maggiormente ispirato per questa storia?

Altri libri, altre storie. Chi scrive - o quantomeno ci prova - principalmente legge, e questo corpo a corpo con la letteratura, che è fatto anche di ansie, frustrazioni, esaltazioni, timore del sacro, ti porta a codificare il mondo attraverso schemi romanzeschi dai quali non si riesce a prescindere. Quindi se non avessi letto certi libri non avrei pensato di scrivere, e senza alcuni romanzi in particolare non avrei scritto questa storia (penso che siano facilmente identificabili, anzi il timore è che lo siano troppo a causa di quel dannato citazionismo di cui non riesco a liberarmi).


Ti riscontri nella protagonista del tuo romanzo?

Temo il protagonista - e voce narrante - sia poco simpatico, forse in alcuni momenti anche un po’ odioso. Il rischio corso, quello che si corre spesso quando si decide per una narrazione in prima persona, è di sovrapporlo all’autore. Su questa sovrapposizione, devo confessare, ci ho giocato molto, anche in maniera un po’ sconsiderata (pensavo che non sarebbe mai stato pubblicato), e questo ha fatto sì che alcuni mi pensassero come un pornografo o un drogato di psicofarmaci. Possiamo dire però che questi sono dettagli poco interessanti, o comunque non rilevanti. In definita posso dire - per rispondere alla domanda - che con il mio protagonista non mi riscontro per nulla, ma mi identifico totalmente con il suo dolore e la sua ironia agrumata.


Quale evento ha fatto sì che ti avvicinassi alla scrittura?

Non saprei, però ho una immagine di me a undici o dodici anni circa che un pomeriggio d’estate (ricordo il caldo, il cielo azzurrissimo, l’ombra della tettoia di canne e un tavolo da giardino) che mi siedo con un quaderno bianco e inizio a scrivere una storia. Da dove provenisse quell’impulso non l’ho mai capito, all’epoca non ero un lettore e a spingermi verso quel “passatempo” non era di certo l’ambiente circostante. Però è accaduto e con gli anni, attraverso la mia adolescenza à la Morrissey, è diventata una parte fondamentale della mia vita.


Raccontaci un aneddoto legato al romanzo.

Poco dopo l’uscita nn’apprezzata autrice mi ha scritto un biglietto di auguri per il romanzo. L’ho utilizzato per uno dei miei riti psicomagici fatti in casa e i “resti” di quel rito sono finiti sotto una pianta del mio balcone. La pianta è cresciuta a dismisura e ogni giorno la guardo con orgoglio e ammirazione. Non è successo lo stesso con il conto in banca del mio editore. Temo di avere sbagliato qualcosa.


Hai già nuovi progetti per il futuro?

A parte riprendere la palestra sto finendo di scrivere alcuni racconti. Poi ci sono un po’ di quaderni e intere sezioni del mio ipotalamo e della mia corteccia piene di appunti, schemi  e disegni ed elenchi (ho un culto per gli elenchi, preso in prestito da Susan Sontag e dato che la amo di un amore profondo  temo che non riuscirò mai a separarmene), per un nuovo romanzo che probabilmente, non appena arriverà l’autunno, mi siederò a scrivere.






Spero che questa intervista vi sia piaciuta e vi abbia interessati nel leggere il libro. 😊
A proposito del romanzo trattato, vi lascio il link diretto alla recensione http://ilprofumodelleparole.blogspot.com/2018/08/la-primavera-da-lontano-giovanni.html
➡️ Potete trovarmi anche sulla mia pagina Instagram asiapaglino
➡️ Roberta invece la trovare su ilprofumodelleparole
Un grosso abbraccio, al prossimo caffè amici ☕☕

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